Buono come il pane?

Un particolare, un gesto, un suono, un colore, un profumo, casuali, possono scatenare dentro di noi sommovimenti al pari delle maree..i ricordi come onde si susseguono in un andirivieni componendosi, ricorrendosi, accavallandosi per poi inabissarsi e in questo rimescolio…riemergere portando a galla i tesori più preziosi, cavalcando  nuovamente la cresta e infine scomporsi e dar vita a nuove scenografie.
Oggi mentre ero al supermercato sono stata “investita” da un profumo che ogni volta che lo sento, ha il potere di stordirmi…felicemente stordirmi: pane appena sfornato. Una miriade di immagini e sensazioni accompagnano questo profumo ogni volta che raggiunge il mio naso, regalandomi piacere allo stato puro e, allora, nonostante esteriormente io continui a svolgere ciò che stavo facendo senza che nessuno intorno si accorga di nulla, io mi  teletrasporto  con il pensiero nel tempo e nello spazio azzerando anni e riesumando ricordi che al pari del cibo dei ruminanti quando ritorna in bocca permette di  sentirne  e apprezzarne i sapori meglio di prima.

E’ li che io ritorno… mi rivedo bambina… percepisco la vampa  che scappava libera dalla porticina di ferro del forno ogni volta che era ora di sfornare, posso  risentire il caldo delle vastedde che stringevo al petto man mano le riponevo nella madia; la mia bocca,  si riempie di acquolina come allora  quando sgranocchiavo la croccante crosta e affondavo  i denti nella morbida mollica dopo averne inspirato fino all’ultima nota l’essenza.  Abitavamo sulle pendici dell’Etna in una grande casa indipendente.. ne ho cambiate tantissime di case durante la mia infanzia e adolescenza, per motivi legati al lavoro di mio padre. Questa è quella a cui sono legata maggiormente, mi piaceva tantissimo.. era grande, aveva un grande terrazzo con un pozzo che d’estate fungeva da frigorifero, calavamo burro, formaggi e quant’altro dentro un paniere e con la frescura dell’acqua e della profondità i cibi si conservavano; un pergolato di uva  incorniciava la facciata principale, tutt’ intorno  un orto con un grande ulivo, un gelso nero, un nespolo, un ciliegio, un albicocco e un pesco,  i muriccioli di recinzione erano sempre ricoperti di verdissimo muschio e ai primi di marzo si rivestivano di viole, a giugno di fragole odorose; in fondo all’orto c’erano due casupole  abitate da galline, due oche e qualche coniglio.   Ma il particolare che l’ha resa immortale nei miei ricordi era l’enorme cucina  con  tutti i piani ricoperti di piastrelline bianche e blu e il bel forno a legna a mattoni rossi che troneggiava in un angolo.

Riprovo con la stessa intensità il piacere che mi dava il giorno in cui si faceva il pane, capitava sempre di sabato, ogni quindici giorni,  non avevamo scuola, per  noi  bambini  era doppia festa.. si avvertiva fermento per la casa sin dall’alba. Mia madre preparava il caffè, un miscuglio di orzo e surrogato di caffè, un impasto simile ad un cilindro di liquirizia da cui se ne staccava un pezzetto che dava corpo all’orzo.. tutti intorno alla tavola, io e mio fratello, con grandi ciotole di latte appena macchiato in cui intingevamo gli ultimi biscotti o le ultime fettine di pane, mentre mio padre, mia madre e una vecchina che noi avevamo adottato come nonna, la ‘zzà Giovanna, bevevano una tazza di nero integrale, allegramente ci  organizzavamo il lavoro.

Si faceva il pane! Si, perché a quei tempi non si comprava giornalmente, ma se ne facevano 20 kg e duravano 15 gg esatti..e non credo che la povertà fosse l’unico indicatore se posso tranquillamente affermare che era buonissimo fino all’ultima fetta. Di pane ne mangiavamo tanto, era la base della nostra alimentazione fatta di poche cose semplici ma genuine. Altro che merendine e snacks,  le nostre  merende erano: fette di pane bagnato  e cosparse di zucchero o pane e olio o inzuppate nella granita di limone o di mandorla o spalmate di marmellata.

Fare il pane non era semplicemente cucinare qualcosa, era un liturgia! Mio padre andava nei giorni precedenti al mulino a comprare il sacco di farina, la farina è una cosa viva e ha breve vita, quindi acquistava il prodotto macinato li per  li. La sera prima (era compito mio), andavo  dalla  vicina  di casa che
per ultima aveva fatto il pane, a prendere l’insalatiera con il crescente ( lievito madre). Il crescente girava di casa in casa. Questo passaggio da una casa all’altra è come un legame d’amore. Il crescente è materia viva e va tenuto in vita con “rinfreschi”, era sempre lo stesso, da anni, ma,  man mano che veniva usato per fare il nuovo pane veniva arricchito di  esistenza ed energia nuova e questa cura aveva del commovente, c’è qualcosa di più commovente della condivisione?
La cucina diventava un campo di battaglia o meglio il teatro della rappresentazione: piano piano si cerneva con un grande setaccio la farina, una sottile nuvola si alzava man mano che essa cadeva a pioggia nella maidda (madia), si salava e si faceva mischiare a secco perché il sale non deve unirsi in modo diretto al lievito ne ritarda la crescita dell’impasto, poi si faceva una conca  per metterci al centro, il crescente e l’acqua tiepida. Sembrava un grande vulcano innevato! Quindi via alla lavorazione, sempre due persone per volta.. con le mani si creava la pasta,  si univano gli elementi, si stiracchiava, si accarezzava e si prendeva a pugni.. si appallottolava e si disfaceva, si alzava per aria e si batteva con tutta la forza.. doveva incorporare aria. Facevano partecipare anche me.. era un gioco, ma seriamente recitavo la parte. ( Un piacere sottile che mi è rimasto tutt’ora.. adoro impastare.. mi rilassa, mi sfogo, mi tolgo lo stress…avere tra le mani una palla lievita che si può modellare è un momento di creazione, è percepirne il respiro.)

Poi quando sulla superficie comparivano le bolle voleva dire che si poteva proseguire a porzionarlo. Facevamo vastedde ( pagnotte) e cucciddati ( ciambelle), mio padre per attribuire ancora più sacralità al tutto sulle pagnotte incideva una croce come a benedirlo. Poi come in processione portavamo i pezzi a dormire, sul grande tavolo erano state messe delle coperte e tra due bianche tovaglie infarinate si ponevano i pani a riposare.

Nel frattempo si accendeva il forno, fascine di sarmenti( tralci di vite secchi) e pezzi di legno d’ulivo scoppiettavano al centro…ogni tanto con una lunghissima pala di ferro si assestava il mucchio.. ci voleva tempo, non c’era nessun termostato allora per impostare la temperatura, era pronto quando i mattoni interni diventavano bianchi… a quel punto si toglieva la brace, si spazzolava con uno scopino adatto e aiutandosi con una pala di legno si posizionavano i pezzi… poi si chiudeva. Nel frattempo si preparavano i biscotti, ciambelline di frolla con al centro le ciliege rosse candite e si sbattevano le uova per il pan di Spagna. Bisognava sfruttare tutto il calore, nulla doveva andare sprecato.. le galline regalavano uova e il forno dopo la cottura del pane aveva la temperatura ideale per i dolci. Il profumo era l’equivalente del trillo dei forni moderni quando arrivano al tempo stabilito. Il percorso era giunto alla fine, si estraeva una pagnotta  la si batteva con le mani e se il fondo suonava era cotto. Dopo aver tolto quello per la nonna e due belle pagnotte per un vecchietto più povero di noi, si riponeva in fila dentro la maidda e si copriva con un telo.
Tra una cosa e l’altra si faceva ora di pranzo e per quel giorno il menù era fisso: pani cunsatu!!! Pane caldo condito con olio, sale, origano per chi lo amava in purezza,  i golosi, vi aggiungevano formaggi e pomodori secchi. Semplicità di gesti equivalente a semplicità di cuore, un passaggio di testimone, la trasmissione di cultura e intorno si respirava armonia. Il pane è una magia, una faccenda mistica, un’alchimia, contiene tutti gli elementi: terra, acqua, aria, fuoco..oltre il collante che li abbraccia e li comprende:l’amore. Il pane è un valore altissimo e merita rispetto. Il mio sogno più grande? Che nessun uomo, nessun bambino ne provi l’assenza!!!

Un’altoparlante mi riporta alla realtà…sono in un supermercato, nel reparto di panetteria, c’è profumo di pane caldo, sa di buono..odora di buono, odora di pane artigianale..ma so che è tutta un’illusione, il pane cattivo odora come il pane buono, da caldo.. è una subdola mistificazione, non sono altro che le baguettes della Romania che arrivano in Italia congelate, i cosiddetti pani” cotti a distanza” a base di pasta surgelata, preparati in fabbrica e finiti di cuocere nel supermercato ( corrisponde a più del 30% del consumo totale)… Poi c’è i pane a pulsante, è un sistema rapido, un sistema altamente meccanizzato che può essere fatto funzionare da personale relativamente non qualificato o addestrato velocemente. Si mescola un sacchetto di miglioratori del pane con una quantità fissa di farina già pesata. Si preme un bottone su un misuratore d’acqua e si mescola per creare un impasto “istantaneo”. Si distribuisce la miscela nei pesi prestabiliti. Si passa l’impasto in un’impastatrice per dargli la forma. Poi si cuoce. Questo metodo si chiama cottura su formula. È il massimo a cui possono arrivare le panetterie dei supermercati. Poi c’è il pane confezionato che rimane morbido e soffice per giorni.. magia? Nient’affatto, rimane soffice perché è stato fatto con l’aggiunta di enzimi ammorbidenti. Poiché questi enzimi sono classificati come ausili di lavorazione, e non ingredienti, non devono essere dichiarati sull’etichetta. Ecco come i supermercati forniscono pane fresco che dura una settimana.

Che dire degli scaffali con pagnotte di pane cafone ? Arrivano da Napoli dove la camorra fa panificare in ambienti igienicamente osceni e cuoce in forni la cui legna spesso sono le bare e ne impone la vendita in tutto il territorio nazionale, obbligando i fornai o i negozi ad etichettarlo come prodotto proprio. Non si salva nemmeno la farina, ha scadenze lunghissime, oltre i due anni.. e pensare che il glutine e il germe hanno vita brevissima..viene fatta resistere con conservanti e migliorativi.. uno fra tutti: Il pancreas del maiale. E da che grano proviene? Importiamo enormi quantità di grano russo..il dubbio nasce spontaneo.
Vi ho raccontato prima una favola vera e dopo una brutta realtà.
Niente mi fa incavolare di più del crollo delle certezze. Ho sempre abbinato il pane a lavoro, fatica, campi dorati, sole, profumo, bontà, amore e mai a truffa, illecito, inganno, sofisticazione. Progresso è sinonimo di comodità ma non sempre di benessere. Certo è impensabile per come è strutturata la vita odierna, specie nelle metropoli, ritornare a quella favola antica in toto..ma almeno vorrei poter affermare sapendo che corrisponde al vero: è buono come il pane!!
Semplice

24 commenti su “Buono come il pane?

  1. cordialdo ha detto:

    Ciao, carissima. Che nostalgia mi è arrivata dentro, nel cuore e nella mente, nel leggere il tuo racconto. Tutto preciso come faceva mia mamma nei primi anni della mia infanzia, sino agli 11 anni quando vivevo felice in un piccolo borgo della Calabria, in provincia di Reggio. Mia mamma era ancora più schizzinosa: comprava il grano direttamente dai contadini e lo faceva portare al mulino per farlo macinare ed il mattino dopo, all’alba, dopo che la sera aveva fatto rinvenire il lievito madre impastava il pane nella madia e proseguiva con lo stesso modo in cui allora tutte le donne del sud producevano il pane, non i panini, ma la forma di pane come quella che in certi paesini della Puglia si produce ancora e sempre con una croce tracciata con un coltello affilato prima di metterlo tra candide tovaglie e calde coperte.
    Anche il forno di mia madre era a semisfera costruito con mattoni particolari fatti cuocere nella fornace del paese , diversi quelli della volta da quelli del piano dove, con la lunga pala di legno sagomata venivano poste le forme di pane da cuocere.
    L’imboccatura del forno coperta con una lamiera con la sua stessa forma e noi bambini, tutti i bambini del vicinato ad aspettare che il pane venisse sfornato mentre il suo profumo si propagava per tutto il vicinato facendo arrivare altri bambini, i più poveri scalzi, perchè la guerra non era ancora finita.
    Fette di pane per tutti sul quale si faceva, ancora caldo e fragrante, la bruschetta: pomori freschi se era la stagione estiva o secchi se era gia inverno, origano, pocjissimo sale ed olio extravergine anche quello gustoso e profumato. E’ da allora che, a volte, passando davantiad una panetteria, sento ancora il profumo del pane appena sfornato ma non sono più riuscito a ritrovarne il sapore. Il tuo racconto è riuscito a farmelo sentire ancora in bocca come se lo avessi appena inghiottito. Che gioia che mi hai dato!
    Un abbraccio, cara Vera! E grazie.

  2. popof1955 ha detto:

    Che bello leggerti. Il crescente ha tutta una sua magia. Quel passarsi il lievito madre di casa in casa a fare il giro del paese è una favola dipinta a penna, o a tastiera se preferisci. Ho sentito il profumo del pane appena sfornato solo leggendoti, e anche se ho mangiato da un pezzo. una fetta calda con olio e sale la gusterei davvero, mi vien da dire “buon pane non mente”.

  3. Emilio ha detto:

    Un pò lunghetto questo post ma sono arrivato alla fine 🙂
    Bello davvero questo tuo racconto d’infanzia legato al pane e alla sua preparazione, immagino che sarà stato bello preparare e dare vita a un’alimento base della nostra vita.
    Ti auguo buona giornata, un abbraccio
    Emilio 😉

  4. Bruno ha detto:

    Che magìa hai risvegliato! Come non tornare ,ognuno di noi, al tempo della propria nonna, e dell’uso incantato del forno!? Misteri dell’animo dei bambini, che poi rivivono come attimi indimenticabili nei ricordi degli adulti. Quando d’estate tornavamo al paesello per le vacanze, nonna Carmelina ci faceva partecipare al rito. Misterioso indaffarato gioioso e profumatissimo !!
    Un post da assegnare a scuola , come traccia e ricerca a tutto tondo sull’eterno piacere di un profumo che dà la vita all’Uomo da millenni .
    Grazie!

  5. ili6 ha detto:

    criscenti, maidda, sarmenti, vastedda e cucciddatu….ah, so di cosa parli, lo so! Che ricordi!!!
    Capitava di aiutare la zia ad impastare il pane, ogni due settimane, proprio come dici tu, ed era una festa per me bambina, proprio come scrivi tu, e poi il forno a pietra il cui calore si sfruttava sino all’ultimo infilandoci dentro di tutto: dolcetti,uova, verdure, tutto, perchè nulla andava perso, nemmeno la brace che poi si trasferiva nella “conca”! Sai che ancora oggi, quando accendo il forno elettrico, infilo dentro il più possibile?
    E’ inconfondibile l’odore del buon pane, così come il sapore. Fortunatamente non compro il pane al supermercato, ma in un buon fornaio di paese con forno a pietra; non è quello della zia, ma è anche buono. Il pane caldo, “cunzatu” con olio fresco, sale, pepe ed origano è qualcosa di irresistibile anche per me.
    Ciaooooo

  6. luciabaciocchi ha detto:

    Carissima Vera, pomeriggio prefestivo strano, velato da una sottile malinconia, questo racconto, che ho letto lentamente,assaporando ogni tua parola, mi ha confortato.
    Non ti faccio cpmplimenti sciocchi, sei bravissima a descrivere il tuo passato, riesci a coinvolgere chi ti legge in maniera totale, in questo racconto ho percepito, luoghi, profumi, abitudini, che mi hanno fatto rivivere momenti bellissimi. Ti confesso che anche noi avevamo il famoso pozzo dove veniva messo di tutto a refrigerare, la madia dove veniva messo il pane, prima a lievitare e poi conservato per lungo tempo. Mi commuovi quando parli della condivisione con le vicine di casa, ci si aiutava scambievolmente in tutte le occassioni, belle e brutte, come vorrei poter tornare a quei tempi lontani…
    Ti saluto e ti abbraccio 🙂
    Lucia

  7. MARGHIAN ha detto:

    Vera!!!! Infatti nun me sono azzardato.

    Mi dispiace per le cose che mi hai raccontato carissima amica. Io grazie al cielo non sto vivendo nessun periodo difficile. Solo che a causa del lavoro-in particolare da due mesi a questa parte, l’ARCHIVIO DI STATO DI ORISTANO sta TRASLOCANDO,e cio’ comportaper me non orari di sei ore alternate a nove ore che sono i due rientri settimanali per avere il sabato libero, ma orari di dieci dodici ore tutti i giorni, o quasi-. E pure di sabato, sino alle 14 o alle 17.
    Imamgina la stanchezza, e quando arrivo dal lavoro…qualche compera da fare..fornelli, cenare, fare i piatti. E si fa mezzanotte, nel vero senso del termine.
    Ecco, carissima vera, tutto qui.
    Mi dispiece che per te non sia solo mancanza di tempo ma veri problemi. Coraggio.
    Auguroni di rapida guarigione a tuo fratello. Ciao Vera.

    Marghian

  8. ombreflessuose ha detto:

    Che bel racconto, il tuo.
    Mi sento trasportare in mezzo all’odore di un passato che
    sapeva nutrire di semplicità e bontà l’anima e la “pancia”.
    Oggi, il pane, viene “calpestato e deriso”.
    Grazie Vera
    Un sorriso
    Mistral

  9. ANGELOM ha detto:

    Carissima Vera, non ho parole dopo aver lettto questo trattato sul pane, sei veramente una scrittrice nata, la tua forza di comiunicare è irripetibile. Che dire del pane, il sostentamento della vita. Un affettuoso saluto.

  10. beautiful41 ha detto:

    Carissima Semplice,
    mi piace chiamarti Semplice. Penso che questo nome ti stia bene perchè riflette la tua personalità di amare le cose semplici che sono sempre efficaci.
    E’ vero. Sei una vera scrittrice, oltre che una poetessa.
    Il tuo articolo è un capolavoro. Molto bello ed istruttivo.
    L’odore del pane fresco mi è sempre piaciuto ed anche il suo sapore naturalmente.
    Ma non conoscevo tutti i trucchi e le possibili illegalità che stanno dietro al “moderno” pane.
    Ciò mi fa apprezzare ancora di più la mia antipatia per questa parola “modernità” che non è niente di buono, come ben sai.
    Mi ha colpito nel tuo articolo la menzione delle parole Armonia e Amore nel contesto del fare il pane a quei tempi perchè appoggi una mia impressione uguale alla tua che quello è stato il tempo dell’Armonia verso il quale dovremmo tendere, nel senso di ripristinarne gli stessi rapporti, se ci vogliamo salvare.
    Il pane poi è sempre stato un cibo nobile. Era il cibo degli dei nelle più remote antichità.
    Secondo le interpretazioni e speculazioni storiche di Zecharia Sitchin questi antichi dei importarono dal loro pianeta le spighe di grano, quello moderno addomesticato, proprio perchè era il loro cibo principale e preferito.
    Ecco perchè anche noi possiamo godere il pane degli Dei!!
    Bravissima!!
    Ti abbraccio

  11. semplice1 ha detto:

    Caro Osvaldo, sono felice d’averti commosso ed emozionato. Siamo fortunati, noi della nostra generazione, d’aver potuto sperimentare queste esperienze che riempivano il cuore e non solo la pancia.
    Un felice giorno 😉
    con l’amicizia di sempre
    Vera

  12. semplice1 ha detto:

    Popof..il crescente era come una creatura allevata da tante madri..ognuna si impegnava a farlo crescere sano e buono.
    E lui, portava con sè trasferendoli agli altri, i segreti di ogni casa. Magia…pura magia.
    Un abbraccione

  13. semplice1 ha detto:

    Emilio carissimo, ti svelo un segreto, io non riesco a scrivere cose brevi, ogni volta che mi accingo a scrivere un nuovo post, mi raccomando tra me e me: breve Vera, altrimenti si scocciano a leggere tutto…ma le parole mi si snocciolano sulla tastiera come le ciliegie, una tira l’altra..e così puntualmente scrivo mappazze.
    Sono contenta che nonostante la lunghezza ( solo…1749 parole) tu l’abbia letto tutto. 😉
    Una serena giornata
    Vera

  14. semplice1 ha detto:

    Carissimo…tutto il mondo è paese..ovunque si faceva pane c’era un forno..e c’erano bambini…bambini che si porteranno quei ricordi come tatuaggi impressi nell’anima.
    Hai ragione..per noi bambini era tutto un mistero..l’acqua e la farina che impastati e messi dentro la pancia del forno, come fosse un drago, si trasformava nel cibo più buono del mondo.
    Sorrido…quando dici che sarebbe “un post da assegnare a scuola”..mi chiedo, che titolo darebbero? Storie dell’altro mondo..o il mondo perduto?
    Peccato… che tristezza è perdere pezzi miliari della nostra vita.
    L’abbraccio di sempre
    Vera

  15. semplice1 ha detto:

    Esperienze comuni..noi penso le vivevamo in contemporanea sulla nostra isola, dove il fumo dei forni che ardevano legna si alzava nel cielo per confondersi con le nuvole e con il fumo del forno più maestoso: l’Etna.
    Vivevamo più in sintonia con la natura e con le regole economiche..non sprecavamo nulla, verissimo!!! Mi hai fatto ricordare che anche noi dopo aver arso la legna mettevamo la brace in quel cilindro di ferro con coperchio: l’astutabraci.
    E poi la utilizzavamo per riscaldarci con la conca…quanti racconti intorno al “peri da conca” con il buco al centro, dove stava la conca( quel cerchio di legno, dove seduti in cerchio vicini, poggiavamo i piedi) …e intorno odor di caldarroste che arrostivamo sulla brace..e odor di cannella….
    Un bacio
    Vera

  16. semplice1 ha detto:

    Lucia carissima..sono contenta di aver assottigliato quel velo di malinconia che ti attraversava..
    Sai..quando ho scritto del pozzo mi chiedevo se mai altri, di altre zone d’Italia, avrebbero capito a cosa mi riferivo…tu mi hai, invece, dato conferma che era così ovunque, nei centri contadini, in chi aveva la fortuna d’avere il pozzo.
    Ti ricordi come conservavamo il burro?.. in una ciotola di acqua fredda che cambiavamo spesso durante il giorno. E’ pur vero che a quei tempi, le cose da mangiare erano poche e non stazionavano per lunghi tempi, come oggi, in dispensa e nel frigo, quando poi non finiscono nel secchio.
    Sembriamo delle ragazze nostalgiche, a qualcuno ? Non lo penserebbero se avessero vissuto la genuinità dei nostri tempi.
    Un abbraccio forte forte
    Vera

  17. semplice1 ha detto:

    Superimpegnatissimoimpiegatocalifragilist Marghian!!!!
    Fai il lavoro con calma, cioè con diligenza, onestà e senso del dovere…ma non strafare..la medaglia non è pronta, non la stanno coniando ne mai la faranno!!!!
    Se avessi avuto una moglie e dei figli..avresti dovuto ridimensionare, allora ridimensiona per te, è ugualmente giusto e sacrosanto. Il rapporto lavoro-impegno-retribuzione deve essere equo..i piatti della bilancia perfettamente allineati.
    Per quanto riguarda me e i miei problemi, le cose pian pianino si stanno sistemando, tutti i pezzi del puzzle ricomponendosi.
    Per fortuna!!!!!!!!!!!
    L’abbraccio di sempre 😉
    Vera

  18. semplice1 ha detto:

    Cara Mistral… io ti immagino e penso ragazzina rispetto a me che sò vecchiarella.. sono contenta di averti fatto immaginare con la fantasia una realtà..
    A mio figlio, da piccolo, raccontavo meno le favole classiche rispetto alle storie di vita passata… la vendemmia, fare l’orto.. le mie avventure con gli animali di casa, fare il pane, i miei giochi, le avventure del nonno durante la prigionia in guerra.. prendevano il posto di cappuccetto rosso, biancaneve, pinocchio etc… e lo affascinavano di più.
    E’ purtroppo verissimo, “oggi, il pane, viene calpestato e deriso”… come tutti i valori e i beni che vengono sacrificati sull’altare del profitto, dell’affare, del denaro.
    un sorriso…anzi tantiiiii
    Vera

  19. semplice1 ha detto:

    Angelo ti perdono! Come Pinocchio ..intendo..
    Sono contenta di averti regalato un’emozione serena, e non mi angustio se passando davanti le vetrine delle librerie non vedo mai nessun libro la cui autrice è una certa…Vera. Scrivere gruzzoli di parole, rimane un piacere da condividere con gli amici più cari..ed è già un bellissimo premio.
    Ti abbraccio con affetto
    Vera

  20. semplice1 ha detto:

    Carissimo Beautiful, anche a me piace tanto Semplice, l’ho scelto con cognizione di causa, anzi ti rimando ad un mio vecchio articolo che scrissi mesi fa, quando ancora non ci conoscevamo: “il bello dei semplici”..in cui spiego come nacque l’idea d’impormi questo nik.
    Anche per te vale lo stesso discorso che ho fatto al commento precedente, ad Angelo, riguardo i complimenti esagerati ma graditissimi spediti al mio mittente. Due Pinocchi? Come farò a tenervi a bada, io che non sono nemmeno mezza fata Turchina?

    Mi piace l’idea di scrivere pezzi del passato, come a conservare, proteggere, custodire i ricordi, specie se questi ricordi raccontano bellezza, bellezza fatta di momenti semplici, armonici, sani, selvaggi. Anche al termine selvaggio attribuisco un valore grande come sinonimo di non contaminato, primordiale, innato, naturale,puro.
    Sono contenta ti sia piaciuto e con te non mi pongo il problema della lunghezza del post…tu, le mie 1749 parole le superi di misura.
    Ti regalo un sorriso che ti illumini i sogni.
    Vera

  21. Raffaele ha detto:

    Bravissima. Quelle cose che hai scritto sugli acceleratori della lievitazione e del pane dei supermercati che arriva dalla Romania, l’ho scritto tempo fa sui blog di Loretta e Marisa che avevano scritto un post sul pane, elogiandone la bontà. Mi resi conto che le cose che scrissi non le conosceva nessuno e questo è sconvolgente. Io l’unico pane che mangio ancora è quello della tua seconda foto, identico nella forma e penso anche nel gusto e nella bontà. Le fa un panettiere della Morra, frazione vicino Dronero, nel forno a legna, lievitazione naturale, lo mangi buono anche dopo una settimana.
    Ciao

  22. strangethelost ha detto:

    Prima di tutto io sono una che non elogia facilmente e dato che sei di origine Siciliana saprai bene il significato di quando ti dicono “”QUANTU SI LISCIA “”!!!
    Tutta questa chiosa per dirti che oltre a essere bravissima a scrivere il tuo racconto mi ha emozionato tantissimo perchè mi hai riportato quasi 50 anni indietro nel tempo,a quando anche mia mamma faceva il pane in casa ed io la sera prima andavo al mulino a comprare la farina già macinata,però tante cose non le ricordavo così nitide e mi sono commossa ( la menopausa mi ha lasciato la lacrima facile 🙂 )
    Noi non avevamo il forno per cui si avvisava il fornaio che ti diceva l’ora in cui sarebbe venuto a ritirare il pane crudo ,ricordo che mia madre lo impastava 3 ore prima per farlo lievitare perfettamente!!
    Quanto ne ho mangiato di quel pane eppure ero una silfide,ora invece se sei a dieta la prima cosa che ti tolgono è il pane!!
    Addirittura per la colazione e la ricreazione a scuola dato che parevo un pozzo senza fondo e avevo sempre fame, avevo escogitato come saziarmi mi tagliavo 4 fettone di “”VASTEDDA”” e a 2 a 2 le farcivo con 50 lire di mortadella ( mio padre era bracciante agricolo e per cui non si poteva scialare molto ) arrivavo in classe 15 minuti prima delle lezioni e facevo colazione con le prime 2 fette! Alle 10,15 facevo il bis con la ricreazione! che nostalgia !!
    Scusa questo commento fiume ,ma è come se il tuo racconto mi avesse riportato improvvisamente indietro con la macchina del tempo .
    Grazie per averlo scritto !!
    Un abbraccio da una tua conterranea.Liù 🙂

  23. semplice1 ha detto:

    Carissimo Raffaele, il consumatore è come in una giungla intricata e oscura, facile preda di agguati e morsi velenosi, solo la conoscenza e l’informazione possono ridurre i danni. Non c’è quasi più nulla di genuino perchè gli uomini assecondano solo i loro sporchi interessi. Nessun scrupolo li assale quando mistificano e sofisticano gli alimenti, anche se queste azioni potrebbero costare il caro prezzo della salute dei consumatori.
    serena notte ciaooo

  24. semplice1 ha detto:

    Liù…benvenuta nella tana dei siculi!!! Siamo parecchi..io, te, Ili, Popof, Scanazzatu,Annamaria, Fabio….
    Io vivo ormai fuori zona da quasi trent’anni, anche se spesso ci ritorno d’estate e quasi ogni giorno con i ricordi. Conosco quasi ogni pietra, l’ho abitata quasi tutta e la amo in egual misura in ogni sua diversità.
    Sarà bello scambiarci esperienze e vissuti.. sali pure a bordo, la macchina del tempo è gratis. 😉
    Mi ha fatto sorridere il tuo commento…mi sembrava di vederti, ma unni i mittevi 4 fettone di vastedda nel giro di due ore?.
    Ciao “liscia”… ma non sei liscia!!!!!
    un abbraccio
    Vera

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